Acquisizione sanante
Avv. Giuseppe Spanò – Parma
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Con la recentissima sentenza Cass. civ. sez. I, 30.05.2023, n. 15188 viene enunciato un principio che possiamo ritenere ormai consolidato ossia che il procedimento che conduce all’emanazione del provvedimento contemplato dall’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 è un procedimento amministrativo espropriativo, soggetto ad obbligo di motivazione, ed il provvedimento emanato, al termine della procedura, ha tutte le caratteristiche, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell’espropriato, di un provvedimento espropriativo cui si accompagna un diritto dell’espropriato di natura indennitaria.
Ne consegue che l’impugnazione del decreto di c.d. acquisizione sanante, al pari di quella del decreto di esproprio, laddove si contesti non la legittimità dell’atto (devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) ma esclusivamente l’ammontare dell’indennità, è devoluta al giudice ordinario, ex artt. 53, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 e 133, comma 1, lett. g), ult. periodo, cod. proc. amm., la corte d’appello in unico grado, ed è soggetta sempre al rito previsto e disciplinato dall’art. 54 d.P.R. n. 327/2001 e dall’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011.
Il rimedio azionabile contro la quantificazione dell’indennità, che si accompagna al provvedimento di acquisizione sanante, costituisce un rimedio volto a contestare la determinazione dell’indennità operata dall’amministrazione che quindi è soggetto al termine breve di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento.
La Cassazione civile sez. I, del 14.04.2023, n. 10018 aveva precisato che in materia di espropriazione per pubblica utilità, l’indirizzo nomofilattico che afferma, per un verso, la devoluzione alla competenza della Corte d’appello in unico grado della controversia sulla determinazione e corresponsione dell’indennizzo previsto per la cd. “acquisizione sanante”, per altro verso l’applicazione in via estensiva del termine di trenta giorni dalla notificazione del decreto di esproprio, contemplato dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 ai fini del ricorso per la determinazione della giusta indennità, non integra un cd. “overruling processuale”, connotandosi, piuttosto, alla stregua di indirizzo giurisprudenziale di legittimità ampliativo – in assenza di un precedente e stabile orientamento –, di facoltà e poteri processuali che la parte abbia mancato di esercitare per un’erronea e autolimitativa interpretazione delle norme processuali.
Si deve dunque interpretare in via estensiva il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 tanto più che tale norma non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto – quale quello della “acquisizione sanante” – introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva (Sez. U, n. 15283 del 25.7.2016, Rv. 640702 – 01).
Sempre le Sezioni Unite, con ordinanza n. 5201 del 21.02.2019 e n. 22096 del 29.10.2015 (Rv. 638169 – 01) avevano affermato che nella fattispecie espropriativa di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis l’illecita o illegittima utilizzazione dell’immobile per scopi di interesse pubblico costituisce solo un presupposto dell’acquisizione del bene, sicché, ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l’indennizzo previsto per la perdita della proprietà non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, e la controversia sulla sua determinazione e corresponsione compete al giudice ordinario.
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